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Questo articolo è stato pubblicato il 06 febbraio 2013 alle ore 08:00.
L'ultima modifica è del 06 febbraio 2013 alle ore 08:39.

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Tutto si tiene. In questi giorni i mercati finanziari hanno ricominciato a traballare, segno che le incertezze politiche occupano di nuovo la scena. Non solo in Italia, certo, anche in Spagna. Ma ovviamente è l'Italia ad attirare più di altri l'attenzione. E allora ecco il viaggio di Bersani a Berlino. Si dirà: era previsto da tempo, tappa obbligata di un percorso volto ad accreditare il premier «in pectore» presso i partner. Anzi, del partner per eccellenza: la Germania di Angela Merkel.

Il caso ha voluto però che la visita si sia compiuta proprio nelle ore in cui i mercati fibrillavano, dopo settimane di relativa tranquillità. Le Borse si erano un po' cullate nell'idea che l'Europa del Sud avesse ritrovato la via della stabilità. E invece... da un lato la crisi a Madrid, dall'altro la galoppata elettorale di Berlusconi, costellata di promesse clamorose e assai costose.

In questo clima Bersani è arrivato a Berlino. Con un obiettivo: convincere i tedeschi che possono fidarsi di lui e del centrosinistra come forza di governo. Nonostante Vendola e alcune contraddizioni. Capiremo meglio nei prossimi giorni se la missione del segretario del Pd ha avuto successo, ma a giudicare dalle sue dichiarazioni sembra che egli abbia abbracciato con decisione una linea riformista che non sempre in Italia viene espressa con lo stesso vigore.

Il Bersani di Berlino non è il leader fin troppo prudente che partecipa in patria alla campagna elettorale e qualche volta dà l'impressione di farsi imporre l'agenda e i ritmi da Berlusconi. Al contrario, il futuro plausibile premier ha parlato come uno statista di stampo europeo e addirittura ha auspicato per l'Italia «riforme di tipo tedesco» (beninteso, «se ci fossero i soldi»).

In questo quadro non è strano che Bersani proprio ieri abbia teso la mano a Monti. Se il senso del viaggio era di farsi conoscere dal più influente partner dell'Unione e di prospettare un'Italia stabile e credibile, è comprensibile che l'interlocutore tedesco abbia chiesto notizie sul ruolo del premier uscente nel nuovo equilibrio di governo. E senza dubbio Bersani ha offerto garanzie al riguardo. Avrà spiegato alla Merkel che l'esecutivo post-elettorale non intende vanificare il lavoro svolto dai "tecnici", ma al contrario muoversi in quel solco.

Questo è uno scenario rassicurante, eppure la vera garanzia agli occhi dei partner (Berlino ma anche Parigi) sarebbe la presenza di Monti al governo. Con un profilo da definire e con una convinta partecipazione della sua lista alla nuova maggioranza. Bersani dimostra, e non da oggi, di aver ben compreso qual è la posta in gioco e si muove su questa linea. Il che naturalmente lo espone a diversi rischi. Intanto quello di finire sotto attacco da destra e da sinistra. Non tanto da parte di Vendola, che ha scelto una posizione responsabile e la mantiene, quanto della galassia Ingroia e Grillo, da un lato, e del partito berlusconiano, dall'altro.

Ma se il candidato premier ha avviato la politica della mano tesa nonostante il rischio, vuol dire che l'Europa non sta a osservare inerte l'Italia che si avvia all'instabilità. L'asse Bersani-Monti per il governo è l'opzione accettabile e accettata, tuttavia deve palesarsi. Non può essere un rebus avvolto in un enigma, come diceva Churchill dell'Urss. Dopo il colloquio di Berlino forse è nato un nuovo Bersani.

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