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Questo articolo è stato pubblicato il 24 febbraio 2013 alle ore 16:02.
Affluenza e distribuzione dei voti, mix da capire
Quello che bisogna subito comprendere è come si concilia la proiezione sull'affluenza finale, ammesso che sia corretta la valutazione di un 75-76 per cento, con l'ormai certa irruzione del partito di Beppe Grillo sulla scena nazionale. Un "mix" che va capito e interpretato, perché con il 75 per cento di votanti ci sarebbero meno voti in assoluto da distribuire fra le forze politiche tradizionali e poi naturalmente ci sarebbe da calcolare il peso relativo della nuova realtà a Cinque Stelle. I sondaggi della vigilia avevano calcolato il punteggio (diciamo pure il successo) del comico genovese tenendo conto di una possibile astensione al 30 per cento, ossia dieci punti in meno dell'affluenza effettiva rilevata nel 2008. Logico che in base ai voti realmente espressi certe valutazioni saranno modificate.
Italiani al bivio
Comunque sia, è sempre più evidente che gli italiani sono consapevoli di trovarsi di fronte al bivio politico più importante della loro storia recente. Ovvio, come è stato scritto, che da lunedì sera nulla sarà più come prima. La Seconda Repubblica, mai veramente nata, si conclude con un malinconico fallimento. La prossima legislatura dovrà per forze di cose assumere un profilo costituente. Certo, il tema della "costituente" non è nuovo, anzi è diventato da anni un luogo comune retorico. Eppure è chiaro che da domani sera gli scenari saranno obbligati. Primo, si tratterà di valutare se esiste in Parlamento una maggioranza politica fra forze omogenee in grado di garantire un minimo di stabilità a medio termine (niente grande coalizione in questa fase, quindi: non sarebbe realistico immaginare un patto di governo fra Bersani e Berlusconi, a meno di non voler regalare tutta la scena ai "grillini"). La stabilità è possibile, certi indizi fanno pensare che sia anche molto plausibile. Ma è meglio attendere per leggere le schede nelle urne.
Dialogo ed elezione del nuovo capo dello Stato
Se questa maggioranza esiste, come è probabile, occorre passare al secondo "step": cercare di consolidarla con un dialogo parlamentare adeguato alla gravità dei problemi. Sappiamo che il passaggio più delicato sarà l'elezione in aprile del presidente della Repubblica. Sappiamo anche che le Camere saranno affollate di deputati e senatori di nuovo conio, quasi tutti protesi a chiedere un rinnovamento radicale delle istituzioni. Indirizzare questo calderone ribollente verso obiettivi riformatori, senza perdere il bandolo della matassa, sarà compito di chi guiderà la maggioranza politica e quindi il governo. Bersani, con ogni probabilità. Ma più del nome conterà la qualità politica, la capacità di mediazione. Non si tratterà di "pilucccare" questo o quel grillino, questo o quel berlusconiano scontento per puntellare la maggioranza. La sfida del futuro (a cominciare, appunto, dalla scelta del nuovo Capo dello Stato) dipenderà da come si riuscirà a impostare la fase costituente e dunque riformatrice della legislatura. La speranza è quella di conciliare realismo e spinta al cambiamento. È forse l'ultima occasione per un sistema politico che di opportunità ne ha perse troppe.
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