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Questo articolo è stato pubblicato il 24 febbraio 2013 alle ore 16:52.

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Terza economia e seconda potenza manifatturiera d'Europa. Troppo grande per fallire, troppo grande per essere salvata se non comincia a salvarsi da sola. In precario equilibrio politico. In deficit di crescita: da inizio anni Novanta lo sviluppo più basso tra i maggiori paesi del mondo (+0,8% Pil medio annuo rispetto +1,8% medio europeo). Debito pubblico al 128% del Pil, pressione fiscale effettiva ben oltre il 50%. Margini di politica economica strettissimi per non dire nulli: per mantenere negli anni il pareggio di bilancio deve camminare al passo di 4,5-5 punti sul Pil di avanzo primario, cioè al netto degli interessi. A rischio, in prospettiva, per ulteriori declassamenti a causa della perdurante "mancata crescita" (la Gran Bretagna ha appena perso la "tripla A" di Moody's con una motivazione di questo genere).

Da domani pomeriggio, uscita da una campagna elettorale tra le peggiori della storia repubblicana, l'Italia torna a rituffarsi nei suoi problemi reali. Che sono quelli di un sistema fermo, produttivamente congelato e socialmente ripiegato su sé stesso. Un Paese che per competività figura alla 42° posizione nella classifica del World Economic Forum.

Soldi non ne girano. La Pubblica amministrazione non paga (parliamo di una cifra stratosferica, circa 70 miliardi) i suoi debiti alle imprese fornitrici. Le grandi imprese non pagano le piccole. Le sofferenze bancarie aumentano. La domanda di credito ristagna. Il tessuto industriale si sfalda sotto i colpi della recessione. L'allarme economia-reale suona forte: l'amministratore di Intesa Sanpaolo, Enrico Cucchiani, osserva che se c'è un 20% delle imprese che ha visto crescere fatturato ed export in misura superiore rispetto alle concorrenti europee, un altro 20% registra un crollo dei ricavi del 30% ed "è chiaro che queste ultime non ce la faranno".

Una manciata di ore ancora, ed eccoci che ci ritroveremo di fronte a questi problemi, compreso quello dell'ormai famoso spread tra Btp italiani e Bund tedeschi: alla lunga non possiamo permetterci il livello attuale, appena sotto i 290 punti. Figuriamoci una quota superiore.

Chiunque vincerà le elezioni del febbraio 2013, questo è il quadro. E non deve sorprendere l'attenzione internazionale che in questa fase circonda l'Italia: più alta è l'incertezza maggiori, a fronte di un Paese in crisi tanto grande da mettere in difficoltà l'eurozona, sono le spinte (e le preoccupazioni politiche) esterne. Comprese quelle della speculazione, che sono parte della realtà dei mercati.

Per la prima volta, il voto del popolo italiano "sovrano" fa i conti in presa diretta con la realtà dei mercati globalizzati e con le aspettative di un'altra "sovranità", quella europea, in via di accelerazione (e che l'Italia, dal 2011 col governo Berlusconi e successivamente col governo Monti sostenuto dalla sua "strana" maggioranza Pdl-Pd-Udc ha avallato e approvato in Parlamento). E' evidente il rischio di un corto-circuito: se i sondaggi non verranno clamorosamente smentiti dagli elettori, comunque si profila un Paese politicamente spaccato in due, dove una metà (se non di più, centrodestra, grillini e parte della sinistra) è fortemente "eurocritica".

Questo particolare bipolarismo è un punto che non è stato adeguatamente messo a fuoco durante la campagna elettorale. Da domani pomeriggio dovremo riparlarne.

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