Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 07 febbraio 2013 alle ore 07:52.

My24

La sera del 25 febbraio i voti non solo si conteranno, ma si peseranno. E a essere pesati saranno in particolare i consensi di Nichi Vendola. Il leader di Sel è un pragmatico che ha saputo diluire l'ideologia, amministrando una regione, la Puglia, che non è stata trasformata in una seconda Cuba e che presenta, semmai, i pregi e i difetti tipici di un certo regionalismo italiano.

Vendola oggi è di fronte al passaggio più difficile della sua vita politica. Ha fatto una scelta responsabile stringendo un patto elettorale con Bersani e accettando la sfida del governo, peraltro in sintonia con la sua esperienza personale di "governatore". Ma sottoscrivendo l'intesa con il Pd Vendola non poteva ignorare che presto sarebbe venuto al pettine il nodo di Monti, cioè della convergenza post-elettorale con il premier uscente. Non è un tema che si pone all'improvviso, magari perché Bersani è andato a fare un giro a Berlino. Era sul tavolo da mesi, come sa chiunque conosce il significato della parola "stabilità": quel valore che l'Europa e i mercati finanziari esigono dall'Italia anche e soprattutto dopo le elezioni.
Vendola sapeva tutto questo e ha comunque scelto di rafforzare l'ala sinistra della coalizione guidata dal Pd. Per vanità, per sottovalutazione della posta in gioco? Forse invece perché vuole giocarsi le sue carte al tavolo del governo, anziché rinchiudersi in un'opposizione rumorosa e sterile. A sinistra di Sel si aprono le praterie dove corre Beppe Grillo e dove si è insediato il procuratore in aspettativa Ingroia. Anche Vendola avrebbe potuto trasformare il Pd nel suo principale bersaglio polemico, come ha fatto Ingroia e in sostanza anche Grillo. Invece ha imboccato la via opposta, pur sapendo che la questione del rapporto con Monti non poteva essere elusa uno slogan.

Difatti il nodo è arrivato al pettine: vuoi per gli sviluppi della campagna, con l'incognita del Senato; vuoi per la necessità di non compromettere la cornice europea che è irrinunciabile per l'Italia. Non c'è da stupirsi se, all'indomani di Berlino, Vendola alza la voce contro l'apertura del Pd al premier uscente. Cosa dovrebbe fare, visto che anche lui è in cerca di voti e inoltre è incalzato da grillini e ingroiani? Però il presidente della Puglia ha fatto una scelta (il patto con il Pd) che non può essere smentita tanto facilmente, quale che sia l'implicito prezzo da pagare. Rompere l'accordo e precipitarsi all'opposizione dopo il voto al grido «o noi o Monti», non solo metterebbe Bersani in seri guai, ma consegnerebbe i vendoliani a un brutto destino: quello di essere "sbranati" (loro sì) e digeriti dai loro nemici, Ingroia e Grillo. Il peso dei quali nel prossimo Parlamento si immagina notevole.
In altri termini, il vero pericolo che incombe su un centrosinistra più o meno riformista non è certo Monti, bensì l'arcipelago "nuovista" che si opporrà a qualsiasi compromesso realistico, volendo affossare l'asse Bersani-Vendola.

Il segretario del Pd lo ha capito e anche per questo conferma e difende tale asse. Vendola, non si sa. Forse anche lui lo ha capito, ma non può dirlo. Dopo il 25 febbraio si peseranno i voti e il governatore deciderà il suo futuro. Da un lato c'è la possibilità di definirsi come sinistra di governo, nella speranza di non ripetere l'esperienza suicida dell'Ulivo. Dall'altro c'è il vortice del populismo. Vendola peserà, valuterà, ma forse sarà abbastanza abile da evitare un errore fatale.

Shopping24

Dai nostri archivi

301 Moved Permanently

Moved Permanently

The document has moved here.