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Questo articolo è stato pubblicato il 08 aprile 2011 alle ore 16:06.

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Moratti, Pisapia, Palmeri. Perché a Milano manca ancora lo slogan giustoMoratti, Pisapia, Palmeri. Perché a Milano manca ancora lo slogan giusto

La vera incognita delle prossime elezioni amministrative è la partecipazione dei cittadini. Per questo motivo anche a Milano i candidati alla poltrona di sindaco cercano di dare ai propri elettori un buon motivo per recarsi alle urne. Proviamo a capire dai manifesti, che rappresentano per i cittadini il primo segnale di elezioni imminenti, le strategie messe in campo dai tre candidati principali. Letizia Moratti, sindaco uscente, punta sul "fare" declinato su varie tematiche; lo sfidante, Giuliano Pisapia, punta sul cambiamento e sulla mobilitazione degli elettori del suo schieramento comunicando la possibilità di vittoria. Una incognita, invece, la campagna del terzo incomodo, Manfredi Palmeri che, partito per ultimo, punta sullo slogan "la primavera di Milano": un tema molto difficile da giudicare se non seguito da una serie di altri manifesti in grado di declinare il messaggio.

Le parole contenute nel manifesto dovrebbero spiegare, infatti, perché un candidato ha scelto di candidarsi (o di ricandidarsi) e perché gli elettori dovrebbero votarlo. Lo slogan del candidato del terzo polo riecheggia quello di Matteo Renzi "è primavera Firenze", ma in quel caso una campagna multi soggetto rendeva evidente il significato della frase. Ad ogni modo è ormai impossibile camminare per Milano senza imbattersi in uno dei tanti spazi pubblicitari occupati da partiti e candidati. Una campagna che, per i due contendenti Moratti e Pisapia, è cominciata già alla fine dell'anno scorso. Letizia Moratti è partita con largo anticipo e, alla fine del 2010, ha lanciato una campagna tematica basata sulla comunicazione di alcune realizzazioni (ad esempio "meno 48% di reati a Milano) ed il claim "gli altri parlano noi facciamo". Completavano i manifesti un sito dedicato e un canale televisivo. Dai manifesti mancava volutamente la foto del candidato, per indirizzare l'attenzione sulla comunicazione dei risultati ottenuti dal sindaco in carica. Il claim richiamava un "classico" della comunicazione del centrodestra nell'era Berlusconi: noi siamo il governo del fare, gli altri sono buoni solamente a parlare e a dire di no. Si trattava di un tentativo di arginare la percezione nei sondaggi di una giunta poco concludente e di ridare smalto all'immagine del sindaco come manager in grado di produrre risultati anche in politica.


Dopo la vittoria nelle primarie e una lunga assenza, la prima ondata di manifesti 6x3 di Giuliano Pisapia è stata pianificata nel mese di gennaio con l'obiettivo di dare una caratterizzazione al candidato come "la forza gentile x cambiare Milano" e rassicurare gli elettori su un candidato che poteva essere percepito/descritto come troppo a sinistra in una città dove da molti anni prevale il voto moderato. Lo slogan riecheggiava il famoso "la forza tranquilla", ideato nel 1981 dal pubblicitario Seguela per la campagna presidenziale di Mitterand. I manifesti attuali di Pisapia puntano invece a modificare il clima di opinione e a portare al voto gli elettori: "il vento cambia davvero" e "Milano si può. Io ci credo". Letizia Moratti risponde con una serie di manifesti che la vedono protagonista in varie situazioni (in bicicletta, con il casco degli operai della metropolitana, con anziani e bambini, ecc.) e con la formula "stiamo lavorando per…" conclusa dalla sua firma. La presenza di un candidato uscente trasforma, quasi sempre, il voto in un referendum sul suo operato e Letizia Moratti dopo aver comunicato le cose fatte, sta chiedendo un voto per completare le tante attività avviate. Questa volta il messaggio è in positivo, nessun accenno al candidato avversario.


Naturalmente i manifesti sono solo la punta dell'iceberg di una campagna fatta di migliaia di incontri, di spot televisivi e radiofonici, di lettere, depliant e telemarketing, di siti e social network. La proliferazione di candidati, e la presenza di un terzo incomodo come Manfredi, rende molto probabile un ballottaggio. In tal caso la partita si sposterebbe tutta sulla mobilitazione e sulla capacità di riportare alle urne i propri elettori. Servirà un salto di qualità perché fino a questo momento nessuna della campagne sembra essere particolarmente incisiva. (Primo di una serie di articoli)

*Consulente e analista politico, insegna "marketing politico e public affairs" presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università degli Studi di Milano. È autore di "Marketing politico" appena pubblicato da Il Mulino.

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