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Questo articolo è stato pubblicato il 14 aprile 2011 alle ore 14:28.

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A Bologna il candidato diventa brand ma nei manifesti elettorali mancano i progetti per la cittàA Bologna il candidato diventa brand ma nei manifesti elettorali mancano i progetti per la città

Per analizzare manifesti e messaggi dei principali candidati a sindaco a Bologna è meglio partire da una buona regola della comunicazione politica: se vuoi avere successo devi essere capace di tracciare una chiara differenza con i tuoi avversari. Per far questo bisogna cominciare, però, da un'accurata analisi del contesto di partenza e da una strategia che permetta di identificare i target da raggiungere (elettori da mobilitare e/o persuadere).

Il modello Guazzaloca insegna che per vincere a Bologna bisogna puntare sulla capacità di arrivare al secondo turno e di far convergere gli elettori che non hanno scelto il candidato del centrosinistra (schema che può fallire lo stesso se il centrosinistra rimane compatto e non si divide).

In questa tornata elettorale anche la città delle due Torri vede una proliferazione di liste e candidati, ma a giudicare dalla quantità di manifesti sembrerebbe una campagna a due tra Virginio Merola, per il centrosinistra, e Stefano Aldrovandi, sulla riva opposta. Merola, che è il vincitore designato, conduce una campagna solitaria come un pugile che combatte allo specchio contro un avversario immaginario, mentre i suoi avversari principali (Aldrovandi, Bernardini, Cortellesi) puntano al secondo posto per giocarsi tutte le carte in un eventuale ballottaggio.

Anche in una città come Bologna per differenziarsi non basta più definirsi come candidato civico e così si cerca di catturare l'attenzione degli elettori con qualche slogan accattivante che, magari, strizza l'occhio a pubblicità commerciali. E' questo il caso di Aldrovandi che è partito con una campagna che recita "o così… o Aldrovandi" (a chi non viene in mente una famosa conserva di pomodoro?). Trattare un candidato come un brand non vuol dire però usare semplicemente slogan orecchiabili o che richiamano pubblicità commerciali: bisogna trasmettere una capacità politica, uno stile, una visione. Si devono valorizzare le caratteristiche positive in modo chiaro e immediatamente comprensibile.

Su quest'ultimo punto fallisce a prima vista il candidato del centrosinistra Merola, che in una campagna senza simboli di partito ha lanciato la sua campagna con "se vi va tutto bene, io non vado bene". Si tratta sicuramente di un tentativo di segnare una discontinuità con gli ultimi due sindaci di centrosinistra che, per motivi differenti, non hanno lasciato un buon ricordo. Tuttavia l'uso del "non" è sempre rischioso nella comunicazione, ancora di più se sottolineato con un colore diverso rispetto al testo.

Come sostiene George Lakoff, uno dei più noti linguisti americani, ogni parola si definisce in relazione a un frame e, anche quando un concetto viene negato, non si può fare a meno di evocare tale frame: "durante lo scandalo Watergate, quando c'erano forti pressioni perché si dimettesse, Nixon si presentò in televisione davanti alla nazione e disse: «Non sono un imbroglione». E tutti pensarono che fosse un imbroglione". A ciò si aggiunge un logo del candidato che potrebbe essere citato per plagio: una stella blu con il nome del candidato praticamente identica a quella della Virgin.

Solitamente la scelta del messaggio da usare nei manifesti è legato a comunicare alcune caratteristiche del candidato (che devono essere significative per gli elettori), oppure la visione, vale a dire il progetto di città. Nei manifesti dei due candidati mancano entrambi e rischia di non essere sufficiente una seconda ondata di manifesti più "esplicativi" perché richiedono una "potenza di fuoco" che raramente le campagne politiche (rispetto a quelle commerciali) hanno a disposizione.

Merola, ad esempio, ha iniziato un secondo flight di affissioni con diversi slogan (forse troppi) che dovrebbero spiegare perché gli elettori dovrebbero sceglierlo: tra questi ad esempio "100" alla capacità, 0% raccomandati" e "più velocità, più wi-fi, più aria, più luce".

Assolutamente anonimi i manifesti e gli slogan degli altri due contendenti principali: Manes Bernardini, esponente della Lega Nord appoggiato anche dal Pdl, usa su uno sfondo verde (che lo caratterizza come esponente del carroccio) "Finalmente Bologna!". Una frase che, se non declinata, ha poco significato e non è caratterizzante.

Infine Daniele Corticelli, candidato per il movimento Bologna Capitale usa "La città dei progetti. Una sfida comune": anche in questo caso un claim generico che potrebbe essere usato da qualsiasi candidato e che non riesce a trasmettere una unicità che dovrebbe motivare un voto a lui e non ad uno dei suoi concorrenti (elemento ancora più importante per un candidato che non può contare su un voto di appartenenza legato a simboli di partito).

In conclusione le caratteristiche di un buon messaggio dovrebbero essere la semplicità, la brevità, la capacità di essere memorabile e facilmente comprensibile. Una buona regola seguita da Berlusconi che, già nella campagna del 1994, amava ripetere ai suoi collaboratori un vecchio detto del mondo della pubblicità: "Se ci metti più di tre secondi a capirlo, il messaggio è sbagliato".

(*) Consulente e analista politico, insegna "marketing politico e public affairs" presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università degli Studi di Milano. E' autore di "Marketing politico" appena pubblicato da Il Mulino.

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