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Questo articolo è stato pubblicato il 29 maggio 2011 alle ore 17:12.

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I candidati di Milano, Moratti e Pisapia, al voto (LaPresse)I candidati di Milano, Moratti e Pisapia, al voto (LaPresse)

Nel pieno rispetto della tradizione. In mattinata sembrava che i dati sull'affluenza alle urne mostrassero una certa tenuta rispetto al primo turno. Fino all'inversione di tendenza di Milano dove alle 12 la percentuale era persino migliore di due settimane fa. Ma è stata una breve illusione. Alle 19 il calo è apparso vistoso. Sei punti in meno alle comunali, in tutta Italia. Molto di più alle provinciali: un'elezione, quest'ultima, che peraltro vanta quasi sempre il primato della più bassa partecipazione. Insomma, nel corso della giornata l'indice generale è sprofondato.

Dicevamo della tradizione. È vero: al secondo turno i seggi non sono mai affollati come al primo. E quando al primo turno l'affluenza è bassina, si può star certi che due settimane dopo andrà anche peggio. Succede in Italia come negli altri paesi che adottano il modello elettorale con ballottaggio. Per la verità abbiamo sfiorato un'importante eccezione. A Milano, a metà mattina, si era recato alle urne il 2,6 per cento in più (ovviamente rispetto al primo turno alla stessa ora). Ma in serata il miracolo non si è ripetuto: il dato parlava di uno 0,9 per cento in meno. Che è ben diverso dal dato nazionale (6 per cento in meno, come abbiamo visto), e tuttavia non è sufficiente per alimentare le speranze del sindaco Letizia Moratti.

È vero infatti che il candidato in svantaggio, in questo caso il sindaco uscente, ha bisogno di incrementare la partecipazione al voto. Se l'affluenza diminuisce, per il gioco delle proporzioni, il 48 per cento di Pisapia, lo sfidante, rischia di diventare il 49 o il 50. Mentre solo un'affluenza massiccia può aiutare il candidato peggio piazzato (l'"under dog" degli americani) a risalire la china, colmando il "gap" con l'avversario. Questo scenario a Milano non sta prendendo corpo, anche se è pericoloso trarre troppe conclusioni da un dato effimero e inafferrabile come la partecipazione al voto.

Senza dubbio il fatto che a Milano sia andato alle urne comunque il 5 per cento in più rispetto alla media nazionale qualcosa significa. Una certa mobilitazione c'è stata: nei due campi probabilmente, ma è plausibile che siano stati soprattutto i sostenitori di Letizia Moratti a farsi coraggio. Eppure, se domani pomeriggio alle tre il dato finale risulterà al di sotto di quello del 16 maggio, la rimonta potrebbe essere davvero una chimera. La Moratti avrebbe bisogno di un netto incremento della partecipazione: almeno cinque o sei punti in più rispetto al primo turno. Per esempio, il 72 per cento invece del 67 di quindici giorni fa. Sembra che siamo lontani da un tale traguardo. Quindi nella città-simbolo della stagione berlusconiana, nella città in cui il voto avrà inevitabili conseguenze sul piano degli equilibri politici nazionali, gli elettori stanno andando alle urne in modo relativamente svogliato, nonostante una campagna aspra e l'evidenza che la posta in gioco è alta. Non solo il governo della città, ma un pezzo del governo nazionale.

Non parliamo poi di Napoli. Alle 19 si parla di quasi il 7 per cento in meno. Più della media globale. Il segnale non è facilmente decifrabile, anche se era prevedibile. A chi può giovare? Sappiamo che De Magistris è dietro a Lettieri, ma l'ex procuratore può godere della saldatura con gli elettori del Pd e in parte con quelli del "terzo polo". Viene da pensare che a Napoli il calo sia fisiologico e non sia perciò destinato a influire più di tanto sull'esito finale. Conterà di più l'onda lunga del gradimento personale: quel momento psicologico che nei giorni scorsi ha favorito con molta chiarezza il candidato del centrosinistra. Ma non dimentichiamo che Lettieri è tuttora in partita: il suo 38 per cento al primo turno potrebbe essere valorizzato dal forte calo dell'affluenza.

In ogni caso, abbiamo scritto in un precedente commento che Berlusconi nei giorni scorsi ha dato l'impressione di considerare perse entrambe le città. Se si prepara lui a metabolizzare la sconfitta (dicendo che «il governo andrà avanti lo stesso»), c'è poco da aggiungere. Se non che da lunedì sera l'Italia volta pagina. Se il risultato nelle grandi città (e quello della Lombardia anche nei centri medio-piccoli) dovesse indicare una volontà di cambiamento, le conseguenze non saranno di poco conto. Maggioranza e opposizione dovranno rimetter mano ad assetti consolidati. Si potrebbe andare verso un periodo di seria incertezza e di destabilizzazione. Specie nel centro-destra. Ma aspettiamo i dati finali.

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