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Questo articolo è stato pubblicato il 20 aprile 2011 alle ore 06:41.

L'obiettivo è vincere a Milano. È qui che si deciderà, non solo la guida di Palazzo Marino, ma il suo futuro politico e di premier. Silvio Berlusconi ne è convinto e per questo gioca su più tavoli la sua partita.
Tre ieri sono state le mosse messe a segno: la cancellazione del programma nucleare, che tante preoccupazioni desta anche nell'elettorato di centro-destra e che avrebbe convinto molti ad andare a votare i referendum, compreso quello sul legittimo impedimento; la richiesta di immediata calendarizzazione alla Camera del biotestamento, per rimotivare l'elettorato cattolico e contemporaneamente dividere Fini da Casini; le scuse pubbliche di Roberto Lassini al Capo dello Stato per i manifesti contro i giudici, che Giorgio Napolitano aveva definito una «ignobile provocazione».
A imporre il passo indietro all'esponente del Pdl è stato proprio il premier, che nonostante la «comprensione» per le motivazioni che hanno spinto Lassini a dare dei brigatisti ai giudici, ha capito che era bene chiudere al più presto la vicenda. Letizia Moratti era stata perentoria: «O me o lui», aveva minacciato il sindaco, e vista la posta in gioco il Cavaliere non ha avuto dubbi. Anche perché la Lega ha fatto sapere chiaro e tondo di non voler seguire il Cavaliere in questa guerra contro i giudici. Così contro Lassini sono arrivati gli strali di mezzo Pdl (Formigoni compreso) e anche del presidente del Senato Schifani che ieri, dopo aver incontrato i rappresentanti dell'Anm, ha chiesto al suo partito di «prendere le distanze, senza se e senza ma» dall'autore dei manifesti. E Lassini, che fino al giorno prima dichiarava urbi et orbi di non avere alcuna intenzione di rinunciare alla sua candidatura e anzi minacciava di «aver molto da raccontare», messo alle strette ci ha ripensato e anche se il suo nome probabilmente non potrà essere cancellato (causa scadenza dei termini) dalla lista del Pdl, ha annunciato di aver interrotto la campagna elettorale.
Il ripudio di Lassini però non significa che il Cavaliere sia intenzionato a siglare una tregua nella guerra con i giudici. Anzi, Angelino Alfano ieri in un vertice con alcuni esponenti del Pdl ha dato mandato di «accelerare» tanto sulla riforma della giustizia («il voto della Camera deve arrivare prima della pausa estiva») che sulle intercettazioni. Ma la legge sugli ascolti non è la sola ad essere tolta dai cassetti dove per molti mesi è stata depositata.
Lega e Pdl hanno chiesto ieri durante la Capigruppo di portare immediatamente nell'aula di Montecitorio il testamento biologico. Le dure parole pronunciate nella sua omelia di domenica dall'Arcivescono di Milano Dionigi Tettamanzi, sugli «ingiusti che non vogliono essere giudicati», ha fatto tremare le vene ai polsi a più di qualcuno. Serviva immediatamente una contromossa per riequlibrare la partita e la legge sul fine vita è apparsa evidentemente quella giusta. Anche perché punta contemporaneamente a due obiettivi: riavvicinare quel mondo cattolico che si è allontanato dal centro-destra e dividere il terzo polo, ovvero Fli e Udc, che a Milano rischia di pregiudicare la riconferma della Moratti al primo turno.
E in parte l'operazione è riuscita. L'Udc infatti, dopo aver inizialmente bocciato assieme al resto dell'opposizione la richiesta di inversione dell'ordine del giorno, è tornata sui suoi passi. «Sul biotestamento non accetto speculazioni da parte di nessuno», ha detto Casini che ha annunciato di voler chiedere «l'esame immediato della legge sul testamento biologico». I finiani sostengono di non essere preoccupati. «Restiamo convinti che forzare il calendario sia sbagliato ma se l'obiettivo è dividerci dall'Udc si sbagliano di grosso», replica il capogruppo di Fli Benedetto Della Vedova. Fatto sta che la legge sul fine vita è destinata a diventare uno degli argomenti clou di questa campagna elettorale, che Berlusconi ha deciso di trasformare in un test nazionale. «Ma nessuno si illuda, il Cavaliere non è intenzionato a replicare l'errore di D'Alema», dice un berlusconiano doc con riferimento alle dimissioni da Palazzo Chigi dell'allora presidente del Consiglio dopo la sconfitta del centrosinistra alle regionali. Berlusconi ha già precostituito la via d'uscita: «In caso di sconfitta – prosegue il deputato del Pdl – attribuirà la colpa al partito e alle sue divisioni, in caso di vittoria se la intesterà».
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