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Questo articolo è stato pubblicato il 26 aprile 2011 alle ore 07:54.
Nella metropoli del postleaderismo salvifico (Bassolino), del postinterventismo statale (Bertolaso), del postwelfare comunale affossato da un debito di 250 milioni (Iervolino), della postlegalità democratica (a processo Bassolino per la monnezza, il coordinatore del Pdl campano Nicola Cosentino per camorra e un curriculum giudiziario alto così per Gigino Cesaro detto 'a purpetta, eletto a furor di popolo nel 2009 presidente della Provincia più densamente popolata d'Europa), solo la monnezza è viva e vegeta e lotta con i napoletani per la sopravvivenza. «Nu 'va pigliate, ce simm'e affezionate» è il cartello conficcato un paio di giorni fa su una montagna di rifiuti in via Sant'Anna dei Lombardi. A uso e consumo dei turisti stranieri che nei giorni di Pasqua, malgrado tutto, affollano Napoli, lo stesso autore di questa cupa ironia si è preoccupato di tradurre il messaggio in inglese: «Don't touch my rubbish».
Di monnezza fisica e metafisica si chiacchiera in queste settimane che precedono la chiamata alle urne per rinnovare il consiglio comunale e le 10 municipalità della terza città italiana. Ottomila candidati dai quali usciranno 348 eletti. Napoli è un grande mercato elettorale a cielo aperto, una città affamata di lavoro in cui i pacchetti di voti si scambiano come se fossero mazzette di euro. Un posto da consigliere di municipalità significa uno stipendio assicurato di 600 euro al mese. Al Consiglio comunale si passa a 1.200. A Napoli si campa di politica, inutile attorcigliarsi attorno a dispute ideali. Prova ne è che il 99% dei consiglieri comunali uscenti si ripresentano al vaglio degli elettori come se nulla fosse accaduto negli anni della catastrofe eco-estetica. Alcuni di loro, come Marco Nonno o Achille De Simone, condannati in primo grado o inquisiti, sono stati reclutati dal Centro-destra senza troppe domande. I partiti sono morti, decomposti e dispersi in lapilli di cenere come i cumuli di monnezza che prendono fuoco a ogni ora del giorno e della notte. Il pasticciaccio delle primarie del Pd ha tradotto plasticamente la guerra per bande tra miglioristi e bassoliniani. Una guerra che si trascina dall'inizio degli anni Novanta. A Napoli i rancori non muoiono mai. Al secolo breve risale l'affaire monnezza, la Caporetto del duo B&B, Bassolino e Berlusconi, che dal '93 hanno vissuto la medesima parabola umana e politica.
Dei quattro candidati più forti che si contendono la poltrona della Iervolino, nessuno vanta una militanza politica o partitica degna di questo nome. Il più politico di tutti dovrebbe essere il candidato dell'Idv ed ex magistrato a Catanzaro Luigi de Magistris. Mario Morcone (Pd e vendoliani) è un prefetto di lungo corso con un curriculum di tutto rispetto, compreso il ruolo di commissario della città di Roma. Gianni Lettieri, prescelto da Berlusconi, Cosentino, Letta e Verdini, è stato sei anni a capo degli industriali di Napoli, mentre il rettore dell'Università di Salerno, l'ingegnere aeronautico Raimondo Pasquino, corre per l'Udc e il Terzo polo.
I sondaggi dicono che nessuno dei quattro ce la farà al primo turno. La nausea della politica, che pure tracima, non dovrebbe generare un rifiuto del voto come potrebbe accadere nelle grandi città del Nord. Pane e politica a Napoli sono sinonimi. E sono davvero pochi coloro che possono fare a meno di un amico o sodale nei palazzi del potere. Votare è come una giocata al lotto, magari escono i numeri buoni. Se i partiti non includono e implodono, è naturale che i notisti politici si appassionino agli apparentamenti occulti e trasversali consolidati nella lunghissima stagione del bassolinismo. A Napoli tutti sanno che Andrea Cozzolino, vincitore delle primarie e assessore all'Industria di Bassolino, è stato amico e confidente di Gianni Lettieri. Nulla di male, presidente degli industriali e assessori regionali sono costretti a dialogare. Ma che succede quando un altro assessore regionale bassoliniano e molto altro come Claudio Velardi, diventa lo spin doctor della campagna elettorale di Lettieri, candidato Pdl? Bassolino l'ha insegnato meglio di un professore di Harvard: le opposizioni vanno sempre cooptate, in un modo o nell'altro. Negli anni Ottanta si chiamavano Comitati d'affari, e Napoli è morbosamente attratta dal passato. Il ritorno alla Prima repubblica potrebbe contemplare un ruolo più incisivo dello Stato, soprattutto in un luogo in cui il decentramento (fatta salva la prima consiliatura del neosindaco Bassolino) alimenta corruzione e inettitudine. Classi dirigenti prive di nerbo etico e un drastico mutamento del quadro economico hanno spinto la capitale del Mezzogiorno a un passo dal precipizio. A Napoli servirebbero due eserciti, uno di servitori dello Stato, l'altro di educatori.
La monnezza è un problema di metodo che i civil servant avrebbero risolto da un pezzo. Fa specie che tre aspiranti sindaci, ai quali potremmo aggiungere il grillino Roberto Fico, siano contro il termovalorizzatore di Napoli Est, il cui bando di gara è stato partorito a metà della settimana passata, in coincidenza con l'annuncio dell'arrivo a Napoli di Berlusconi. A difendere l'inceneritore è rimasto solo Gianni Lettieri. Tutti gli altri chiedono una raccolta differenziata spinta. Morcone al 50%, Pasquino al 65% entro il 2012, de Magistris parla addirittura del 70.
Il segno tangibile che forse qualcosa è cambiato.
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