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Questo articolo è stato pubblicato il 05 maggio 2011 alle ore 11:03.
Milano è un Comune ricco, e i ricchi spendono. Tutto sta a capire se il loro stile di vita è sostenibile, e fino a quando, senza mettere a rischio gli equilibri dei conti.
Quando si guarda il bilancio di Palazzo Marino, il primo dato a balzare agli occhi è il livello delle uscite correnti, cioè quelle che servono a far girare i servizi, il personale e la burocrazia. I 2,5 miliardi messi a preventivo nel 2011, con un aumento del 40,1% rispetto a quando Letizia Moratti ha iniziato il suo primo mandato, fanno 1.917 euro per ogni abitante: Roma, per fare qualche confronto, è a 1.449 euro, Napoli viaggia a quota 1.551 e Bologna non supera i 1.281 a cittadino.
La spesa corrente, in sé, non è né buona né cattiva, e anzi offre qualche argomento anche in campagna elettorale: il Comune, per esempio, fa sapere che la spesa sociale meneghina è di 306 euro per abitante, contro i 295 di Torino, i 269 di Bologna e i 258 di Firenze. Anche i costi del personale (16.149 dipendenti, di cui 16.091 a tempo indeterminato) sono cresciuti, ma a ritmi decisamente più blandi: i 625 milioni scritti nel preventivo di quest'anno sono il 3,9% in più rispetto a cinque anni fa, con un incremento che quindi non sta al passo nemmeno dell'inflazione. Tutto bene, quindi?
Un momento. Le spese vanno finanziate, e con il crollo delle entrate tributarie che ha caratterizzato tutti i Comuni dopo l'addio all'Ici sull'abitazione principale faticosamente compensata da un assegno statale, la voce da tenere d'occhio è quella delle entrate «extra-tributarie»: a Milano nel 2011 sfiorano gli 1,1 miliardi, e segnano un aumento dell'84% rispetto a cinque anni fa. Di che si tratta?
I due grandi capitoli delle entrate extratributarie sono i proventi dai servizi pubblici (le tariffe) e i dividendi delle società: nei conti milanesi la voce più interessante è la seconda. A reggere il bilancio sono ancora una volta gli assegni staccati dalle partecipate: da Sea, in vista di una quotazione in Borsa che sfumata a maggio proverà l'appuntamento di novembre, si attende un dividendo extra da 160 milioni, 80 milioni arrivano dalla dismissione delle quote in Serravalle e qualche altra decina potrebbe arrivare anche da Atm.
I rapporti fra Palazzo Marino e le società, insomma, è decisamente vivace. Anche troppo, a sentire i revisori dei conti, che spulciando il consuntivo del 2010 hanno chiesto al Comune di «ridurre il ricorso a operazioni straordinarie», per far quadrare i conti con la «gestione ordinaria» (si veda anche «Il Sole 24 Ore-Lombardia» del 27 aprile). Il monito, come si vede, per il 2011 non sembra produrre grandi effetti, e non potrebbe essere diversamente: il rapporto fra entrate e uscite stabili crea nelle previsioni 2011 un disavanzo di parte corrente da 146,5 milioni, il 62,8% in più rispetto ai 90 milioni di «rosso» registrati nel preventivo di cinque anni fa. I conti devono pareggiare per legge, e per finanziare una quota di questo disavanzo interviene proprio una parte dei frutti della vendita di Serravalle.
Finanziare la spesa ordinaria con operazioni una tantum è un po' come vendere il divano per pagare l'affitto, e si allontana dal principio del "buon padre di famiglia": in questa prassi, del resto, Milano è in affollatissima compagnia, come mostrano le barricate alzate dai Comuni quando il Governo ha provato a vietare il finanziamento della spesa corrente con gli oneri di urbanizzazione, che sono un'altra entrata straordinaria. La stretta è stata rinviata, e quest'anno anche Milano può utilizzare la sua buona fetta di oneri (75 milioni) per pareggiare il conto.
L'ultimo tassello arriva da una ventina di milioni in più dai biglietti del trasporto locale. Escludendo un ritocco delle tariffe, ipotesi respinta dal sindaco in ogni occasione, per raggiungere l'obiettivo c'è da sperare che i milanesi salgano più spesso in metropolitana e in tram. Pagando il biglietto.
gianni.trovati@ilsole24ore.com
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