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Questo articolo è stato pubblicato il 11 maggio 2011 alle ore 10:22.
Il primo comandamento del suo programma, "basta al muro contro muro", si traduce con una proposta molto esplicita e concreta, addirittura rivoluzionaria di questi tempi: maggioranza e opposizione, insieme, nella Giunta del Comune di Milano.
Giancarlo Pagliarini, ex ministro del Bilancio nel primo governo Berlusconi, volto storico dei lumbard e poi dissidente dal 2007, eletto nel 2006 consigliere comunale a Milano per il Carroccio e poi passato al Gruppo misto, si presenta oggi alle elezioni amministrative come candidato sindaco per la Lega Padana Lombardia e una propria lista, "Pagliarini per il federalismo". In cima alla scaletta di priorità per la città, Pagliarini punta il dito sull'alto tasso di litigiosità che affligge il Consiglio comunale, bloccando, a suo avviso, qualsiasi iniziativa.
«A nostro giudizio della Giunta dovranno fare parte, chiunque sia il sindaco, rappresentanti della maggioranza e rappresentanti della minoranza, così che a governare la città siano chiamati tutti i delegati dei cittadini, basta con l'assurdo muro contro muro dei partiti politici», spiega nel suo programma amministrativo. Un appello bipartisan che Pagliarini punta a rendere vincolante in caso di ballottaggio, quando diventerà conditio sine qua non per una sua eventuale "benedizione" nei confronti dell'uno o dell'altro candidato.
La "chiamata" alla democrazia partecipata non si limita tuttavia ai politici, al secondo posto del programma, Pagliarini propone referendum deliberativi senza quorum, sul modello svizzero. «Per noi, i detentori del potere sono i cittadini – argomenta – così, tutte le volte che è logico e ragionevole, siano loro a decidere». Il fiore all'occhiello di questo progetto è un esempio recente, quando governo e parlamento elvetici hanno proposto un aumento dell'IVA, approvato in via definitiva soltanto dopo l'esito del referendum popolare. «In quel fortunato Paese – si accalora Pagliarini – ogni singolo Cantone ha competenze irrevocabili perfino nel campo della giustizia e in quello fiscale. Eppure ogni cento metri sventola una bandiera rossocrociata. Dunque, il federalismo non divide, come dicono invece i signori della casta preoccupati di non modificare la mappa del potere e di tutelare i loro privilegi». Cuore pulsante della sua visione federalista, la battaglia in favore dei referendum deliberativi senza quorum è stata anche la causa dell'addio al Senatur e alla Lega, colpevoli di "parlare soltanto" di federalismo. «Di federalismo, nella legge recentemente approvata in Parlamento, c'è traccia solo nel nome – commenta – ormai la Lega Nord non si occupa più di questo argomento».
Unico tra i candidati sindaci di Milano ad avere sottoscritto il pledge del Tea Party tricolore "una firma contro le tasse" – impegno formale a non aumentare o introdurre nuove imposte – sul fronte del reperimento delle risorse il leader dei federalisti scissionisti avanza qualche dubbio sul proliferare della partecipazioni societarie di Palazzo Marino. «Le quote Serravalle andrebbero vendute – chiarisce – ma, soprattutto, propongo di costruire un bilancio partendo dal presupposto che non ci siano le cedole delle partecipate, partiamo da lì a ragionare su spese ed entrate».
Pagliarini guarda anche con grande interesse al decreto in consultazione all'Economia, che mira a favorire l'ingresso nel nostro Paese di nuove imprese grazie all'«attrazione europea», vale a dire la possibilità per le aziende straniere di scegliere l'applicazione del miglior regime fiscale vigente fra quelli che si applicano nei 27 Paesi Ue. «Attirare capitali e investimenti stranieri significa tra l'altro più occupazione, meno povertà – conclude – anche questo è un modo per fare quadrare il bilancio».
@twitter.com/emmelang
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