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Questo articolo è stato pubblicato il 17 maggio 2011 alle ore 08:11.
L'ultima modifica è del 17 maggio 2011 alle ore 06:54.
L'Italia sta cambiando volto. La grande ingessatura di questi anni, che ha dato l'illusione, e spesso solo quella, della stabilità, comincia a sgretolarsi. Non s'intravede una prospettiva chiara, una coerente direzione di marcia, ma tant'è. Il risultato del primo turno a Milano è clamoroso, visto l'impegno personale del presidente del Consiglio che aveva trasformato la campagna in un referendum su se stesso. Non a caso Berlusconi capeggiava la lista del Pdl e dal suo punto di vista non aveva nemmeno tutti i torti: sentiva di dover giocare tutte le carte nella città-simbolo della sua avventura politica. In altri tempi la scommessa sarebbe stata vinta con facilità; ieri si è trasformata in un calvario. Testimoniato anche dal drammatico arretramento nel numero di preferenze individuali.
A questo punto appare piuttosto mediocre il tentativo di scaricare ogni responsabilità su Letizia Moratti. È vero che il sindaco ci ha messo del suo, soprattutto negli ultimi giorni, con l'attacco sconsiderato a Giuliano Pisapia. Ma chi le aveva suggerito di abbracciare la linea oltranzista, così estranea alla sua storia personale e così incongrua in una città come Milano? Chi ha lasciato correre sul caso Lassini (autore dell'imbarazzante manifesto sui magistrati «brigatisti»)? Chi ha dato vita all'ennesima e infine stucchevole crociata contro i magistrati «eversori»?
La verità è che Berlusconi e certi suoi consiglieri stavolta hanno sbagliato i calcoli. Forse il premier avvertiva che il terreno gli sfuggiva sotto i piedi e allora ha reagito con la forza della disperazione, sforzandosi di mobilitare gli elettori intorno al proprio carisma. Ma i miracoli non si ripetono in eterno. La sconfitta è arrivata nel peggiore dei modi, trascinando nel baratro la Moratti, che si è rivelata comunque un candidato debole e impopolare di suo, e quel che è peggio la Lega. Questo è senza dubbio il punto politico più scabroso. Il silenzio cupo e irritato di Bossi dovrebbe preoccupare Berlusconi più delle percentuali uscite dalle urne.
La Lega sta contando i suoi voti. Vede che a Milano l'impronta berlusconiana l'ha danneggiata non poco. Scopre che altrove le cose non sono andate bene. Del resto, Bossi aveva più volte messo in guardia il suo alleato, dimostrando di non condividere i toni e i temi della campagna. Si tratterà di valutare adesso il dato complessivo, i risultati in tutti i comuni del Nord, nonché l'esito di Bologna, dove il candidato del Carroccio è andato in controtendenza e ha sfiorato l'accesso al ballottaggio.
Non sarà facile per i leghisti sostenere che non è successo niente. Bossi diceva che a Milano, se le cose andavano male, «a perdere era Berlusconi». Aveva ragione a metà. In effetti Berlusconi ha perso, ma la Lega ha perso con lui, su di una linea aspra e intransigente che il gruppo dirigente non coltiva più da tempo (come dimostra, tra l'altro, l'ottimo rapporto che Bossi ha costruito con Giorgio Napolitano). Molti militanti del Carroccio hanno compreso lo smacco e adesso il malessere diffuso contro il patto politico con il Pdl, sempre difeso dal vecchio leader, è destinato ad accentuarsi. Certo, prima occorrerà pensare ai ballottaggi, dove peraltro la Moratti si presenta in condizioni di grave incertezza. Ma nessuno s'illude che la vecchia intesa Berlusconi-Bossi possa sopravvivere agli eventi di ieri come se nulla fosse. I riflessi sugli assetti nazionali ci saranno e non saranno trascurabili. Solo un esempio: è impensabile che il governo possa navigare alla giornata di qui al 2013, con la sola preoccupazione di non incorrere in incidenti. Ed è altrettanto difficile credere che certe manovre di Berlusconi per acquisire consensi parlamentari possano proseguire come le abbiamo viste fin qui, con la moltiplicazione delle poltrone di sottosegretario.
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