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Questo articolo è stato pubblicato il 23 agosto 2013 alle ore 06:55.

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Green Bit, 007 digitali per Fbi e Cina

Una storia italiana. Che delinea l'evoluzione del nostro sistema industriale. Dalla egemonia della grande fabbrica del Novecento alla prevalenza della piccola impresa di oggi. La Green Bit di Grugliasco, alle porte di Torino, ha una posizione di preminenza nella tecnologia e nei software per gli scanner ottici di impronte digitali con cui le forze dell'ordine e le amministrazioni pubbliche registrano e poi riconoscono appunto le impronte digitali, il dorso e il palmo della mano.

In tutto il mondo sono quattro le aziende ad avere, sull'intera gamma di prodotti, la certificazione dell'Fbi.
La raffinatezza hi-tech della Green Bit - riconosciuta dalla Fbi - è figlia della globalizzazione degli anni Duemila, ma nipote della cultura tecnologica e manageriale formatasi e sedimentatasi nella Fiat e nella Olivetti. Adriano De Luca, emigrato da Potenza nel 1972 per iscriversi al Politecnico di Torino con la doppia identità di studente e di musicista professionista (è stato anche bassista di Lucio Battisti), ha lavorato alla Fiat («Vittorio Ghidella mi scelse come assistente, ma avevo già deciso di licenziarmi, mi sentivo un imprenditore»), ha fondato nel 1984 una propria azienda (la Eicas) e nel 1987 è diventato partner e amministratore delegato della Syntax Factory Automation (sua al 30% e al 70% della Olivetti).

Oggi la Green Bit ha 30 addetti a Grugliasco, 5 ricercatori - tutti con il dottorato - a Potenza e 25 occupati a Tianjin, a cento chilometri da Pechino. Il fatturato aggregato del gruppo dell'anno scorso è stato pari a 10 milioni di euro. Quest'anno salirà a 13 milioni di euro. La spinta è cinese. La polizia di Pechino adotta gli scanner palmari che hanno la sua tecnologia e il suo software, in particolare gli algoritmi in grado di effettuare l'incrocio (tecnicamente "matching") fra l'immagine del polpastrello e le banche dati che contengono milioni di impronte digitali.
Dice De Luca: «Realizziamo la parte più tecnologica e predisponiamo gli algoritimi della macchina, che viene poi assemblata dalla nostra consociata cinese e venduta ad un integratore di sistemi locale. Nel caso di Pechino è stato Zdxa. In altre tre province lavoriamo con Hisign. In Cina, dove hanno stabilito che entro il 2018 dovranno esserci 40mila scanner palmari, i primi 4mila sono nostri. Abbiamo quasi tutto il mercato. A Grugliasco facciamo i prodotti che vanno in tutto il mondo. A Tianjin produciamo per il mercato interno, con una catena della fornitura che abbiamo impiegato tre anni a selezionare».

Lo sviluppo cinese ha avuto la sua base nei risultati ottenuti in Europa. In Italia hanno la tecnologia di Green Bit 1.200 scanner palmari adottati nelle questure, negli uffici per l'immigrazione e nei comandi dei carabinieri; oltre 2.000 scanner di impronta singola negli uffici per il passaporto elettronico. In Spagna, dal 2007 ad oggi, 39 milioni di carte di identità elettroniche hanno raccolto l'impronta del titolare con i suoi dispositivi. Il presente e il futuro della Green Bit si dividono fra il mercato unico e la Cina.
Il passato, però, affonda le radici nella fine del paradigma della grande impresa italiana, il delicato passaggio degli anni Novanta in cui - di fatto - ci troviamo ancora immersi.
De Luca ha rilevato la Green Bit nel 1997 da una Olivetti in profonda crisi. L'anno prima aveva acquistato un ramo d'azienda specializzato in ottica e in algoritmi per il riconoscimento delle impronte digitali in Russia («ho lavorato là sia per la Fiat sia in collaborazione con la Olivetti, i russi cercavano investitori occidentali, il Kgb mi mostrò alcune tecnologie militari e civili, l'ottica era di livello assoluto, il nostro capo della ricerca a Grugliasco è ancora oggi un giovane scienziato russo»).

Dunque, De Luca conosce bene dall'interno la grande e la piccola impresa, l'Italia e i mercati globali. «A nostro modo - riconosce - siamo un caso paradigmatico. Ma, senza quanto appreso nella grande impresa, non avremmo fatto nulla. Penso al controllo di gestione, che è stato uno dei punti di forza della Olivetti di Carlo De Benedetti. Noi lo eseguiamo in maniera ossessiva. La piccola impresa classica, però, adotta poco e male le procedure e i budget».

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